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Articolo: Autosufficienza, libertà e futuro: in che mondo viviamo?

Autosufficienza, libertà e futuro: in che mondo viviamo?

Autosufficienza, libertà e futuro: in che mondo viviamo?

“Il supremo frutto dell’autosufficienza è la libertà” – Epicuro


 

Il tema dell’autosufficienza economica ha impegnato la riflessione di illustri pensatori sin da tempi antichi e le parole sono, il più delle volte, importanti lezioni da tenere a mente, per vivere la vita con orgoglio e onore. Argomenti molto importanti che corrono il rischio di essere trattati in modo banale o, in molti casi, del tutto fraintesi. L’avvento dell’era industriale ha portato infatti, prima l’occidente e poi il resto del mondo, a credere che l’interdipendenza degli stati con altre nazioni e imperi fosse motivo di autorità e ricchezza. Dopo la seconda guerra mondiale, tuttavia, le opinioni cambiarono. L’autosufficienza inizia ad essere considerata il nucleo del potere e della sicurezza nazionale. Poi, negli anni ’80, questo mantra cambia nuovamente, accentuando i benefici economici della globalizzazione. Da allora l’economia di ogni nazione dipende dal resto del mondo.


 

Ma a seguito di disuguaglianze sempre più enfatizzate, del crollo finanziario del 2008, della chiusura di interi paesi per combattere l’epidemia di Covid-19 e la prospettiva di realtà come Cina e Stati Uniti, che agiscono sempre più a livello nazionale, la questione dell’autosufficienza potrebbe diventare un tema centrale nei prossimi anni. Una necessità, più che un’opzione, che però non considera il modello basato sulla crescita, tipico del capitalismo industriale, come dannoso per l’ambiente e l’ecologia. Una crescita che rappresenta ormai la principale forza motrice dietro alla produzione di beni superflui: ricchezze effimere che hanno portato l’uomo moderno ad inseguire una crescita materiale anziché spirituale, meno legata al miglioramento e alla realizzazione, sotto il profilo psicologico, professionale e umano. Come ci insegna la vita, correre per il piacere di sentirsi vivi è più importante che raggiungere la meta; ma questo concetto è stato abbandonato a favore di una logica più competitiva e legata al possesso piuttosto che all’esperienza.


 

In questo senso l’autosufficienza diviene una condizione imprescindibile per un approccio sostenibile al consumo e alla vita più in generale. Sostenibilità intesa come condizione di sviluppo equo e condiviso, in grado di far fronte ai bisogni e alle aspirazioni di ogni essere umano, oggi e in futuro. Questo perché allo stato attuale la domanda di risorse naturali ha superato l’offerta e una piccola parte della popolazione mondiale consuma molto più di quella rimanente e tropo velocemente, senza dare il tempo alla natura di rigenerare ciò che è stato consumato. Una situazione che porterà presto al collasso dell’intero sistema con possibili risvolti catastrofici dal punto di vista ambientale e sociale. Ecco perché una delle poche soluzioni considerabili è abbandonare la produzione di beni superflui e l’ideologia del consumismo di massa. Se desideriamo realmente salvare il pianeta, il modello economico di crescita basato sull’industria e sulla globalizzazione è da considerarsi superato. L’evoluzione è anche questo: lo svolgersi degli esseri umani da forme inferiori a forme più perfette, senza lasciare indietro nessuno.


 

Ogni percorso evolutivo ha una traiettoria diversa ma un fine ultimo condiviso: l’aumento dell’autonomia e dell’autosufficienza, la riduzione dal bisogno forzato che ci costringe a sopravvivere anziché a vivere. E l’autosufficienza è un termine legato all’autarchia, troppe volte intesa negativamente a causa di chi, in tempi più o meno remoti, ha approfittato di questo termine per fini personali, alterandone il vero significato, coniato nell’antica Grecia come sinonimo appunto di autosufficienza del saggio rispetto ai beni esteriori; ma anche un termine che si riferisce all’indipendenza e dipende dalla sostenibilità. Materia, quest’ultima, interessante per anni e oggi sempre più popolare; al punto da essere manipolata un po’ da tutto e da tutti, che ancora una volta stanno volgendo il problema dalla loro parte, ribaltando le responsabilità, al fine di salvare i propri profitti, non il pianeta, al fine di perpetuare il modello di capitalismo industriale basato sulla crescita, non l’ecologia. E c’è un termine anche per questo: green washing (darsi una patina di credibilità ambientale). D’altronde, come possono aziende e paesi definirsi sostenibili quando continuano a scambiarsi gli stessi prodotti in grande quantità, inquinando e sfruttando i diritti dei lavoratori, quando invece potrebbero destinarli al mercato interno? Perché acquistare arance marocchine o vestiti cinesi, quando l’Italia potrebbe gestirne direttamente la produzione? Perché non insistere su una produzione interna in grado di soddisfare il fabbisogno interno, destinando all’import solo quei prodotti che non possono essere ottenuti in loco? Perché non pensare ad un mondo funzionale tanto al benessere di tutti quanto alla salvaguardia del pianeta?


 

CasaGIN


 

Come orientarsi in questa giungla, quindi? È necessario iniziare una transizione verso un’economia di de-crescita evolutiva e autosufficienza, dove ciascuno mangia e consuma ciò di cui ha realmente bisogno. Oggi è impossibile fornire uno stile di vita, come quello attuale dei paesi ricchi, a 7 miliardi di abitanti e lo sarà sempre di più quando saremo 9 e poi 10 miliardi. Se l’umanità dovesse proseguire negli attuali trend di consumo di risorse e sistemi naturali, entro il 2050 necessiterà dell’equivalente di 2,9 pianeti (lo afferma il Living Planet Report del 2012 del WWF). Per questo, come cita il sito dello stesso WWF, la sfida del nuovo millennio dovrebbe essere “vivere bene entro i limiti ecologici di un solo pianeta”.

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